«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno IV - n° 3 - 15 Giugno 1995

 

le radici-memoria

Il nostro passato e il nostro avvenire
 

Anche noi siamo stati fascisti: come la massima parte degli italiani. Ma a differenza dei moltissimi che oggi, dinanzi alla mutata situazione politica, vogliono dimostrare la loro appartenenza al fascismo come derivato dalla costrizione, dalla convenienza o dal bisogno, noi fummo fascisti per convinzione dapprima, rimanemmo fascisti per coerenza poi. [...] In Italia non vi è diritto di cittadinanza per gli sconfitti; la massa degli italiani che ama i vincitori è oggi, come purtroppo sarà sempre, con i vincitori. [...]
Mentre la massa, nota od anonima dei fascisti si è venduta -come si era venduta al fascismo- a nuovi padroni, solo noi dovremmo rimanere al bando della vita pubblica: irrisi da tutti perché vinti, scacciati da tutti perché orgogliosamente poveri, tacciati di fessi perché, in ogni tempo e in ogni circostanza, anche la più tragica e pericolosa, rifiutammo di fare il doppio gioco e di piegare a basse compromissioni la nostra coscienza.
E pure malgrado ciò, noi sentiamo ancora oggi di non dover nulla rinnegare del nostro passato: abbiamo, in buona fede, creduto di servire il nostro paese e ce ne vantiamo; abbiamo combattuto duramente per il nostro paese e ne siamo orgogliosi; abbiamo difeso fino in fondo l'ideale nel quale credemmo; siamo stati fino alla fine, se fìsicamente o sentimentalmente, non importa, accanto all'Uomo che fu l'eroe e il mito della nostra giovinezza e non ne arrossiremo mai.
Ma se il nostro volto non è, né sarà mai, quello dei «maddaleni pentiti», la nostra funzione non è come qualcuno potrà pensare, quella del cavallo di Troia destinato a contrabbandare sul piano democratico un fascismo risorgente. Poiché se non ci pentiamo del nostro passato, non abbiamo neppure per esso nessun rimpianto e perciò siamo nettamente contrari ad ogni forma di neofascismo più o meno larvato. [...] Altri potrà rimpiangere il sistema fascista: i monarchici superstiti potranno, ad esempio, riandare nostalgicamente ai tempi in cui il sovrano era universalmente riconosciuto «santità della Patria»; l'industriale potrà desiderare ancora l'ordine mantenuto dalla dittatura; il militare rimpiangerà il prestigio che nella dittatura godeva; l'uomo che un tempo si definiva d'ordine e che oggi si autodefinisce qualunque potrà sospirare, dinanzi alle convulsioni sociali in atto, al tranquillo ricordo dei tempi andati.
Tutto ciò al nostro spirito non dice nulla e questo ricordo di un passato comodo ed addormentante, non ha su di noi alcuna presa. Noi, nel fascismo, intendevamo servire un ideale rivoluzionario, in senso sociale; e se rammarico sopravvive in noi è soltanto quello di non essere riusciti a raggiungere la mèta prefissaci, di non aver disvelato al mondo quella nuova realizzazione sociale che, componendo il conflitto tra oriente e occidente, desse realmente all'Italia, e per la terza volta, la primogenitura dello spirito, così come vi è in noi lancinante il dolore per la massa informe di rovine patrie, che sono in parte il risultato tangibile di quella nostra sognante e generosa follia. [...]
Detto questo è logico che amici e avversari chiedano: «Cosa siete? Cosa volete rappresentare?»
Siamo gli uomini che per lunghi anni hanno inteso di dare al fascismo, sopra ogni cosa, volto e contenuto sociali realmente rivoluzionari; siamo i superstiti di quella, che a torto o a ragione, fu definita la «sinistra del fascismo»; che vogliono coerentemente legare il loro passato al loro avvenire. Uomini che con un patrimonio ideale già formato e fino ad oggi compresso, dalla dittatura prima e dall'antifascismo, poi, vogliono di questo loro passato sceverare il bene dal male, l'equo dall'iniquo; che vogliono soprattutto alla luce delle loro idee, talune scaturite da una dura esperienza, tal'altre scarnite da altrettanto dura realtà, portare il loro contributo alla ricostruzione e al rinnovamento del Paese: apertamente, chiaramente e lealmente.
Crediamo in una rivoluzione drastica e definitiva, destinata a dare al Paese nuova fisionomia economica e sociale e sentiamo in noi la certezza e l'orgoglio di essere fra coloro che, pur tra gli inevitabili errori, hanno sempre perseguito e preparato tale processo rinnovatore. Crediamo nella Repubblica, poiché sentiamo che essa soltanto può promuovere e garantire la rivoluzione sociale. [...] Per questo noi, che fummo fino in fondo fascisti senza doppio gioco, siamo pronti a stringere la mano ai nemici, agli antifascisti di sempre. Agli altri, ai pavidi, ai troppo frettolosamente ravveduti, ai transfughi nei tempi duri e nell'avverso destino, al gregge belante al seguito dei vincitori va e andrà sempre il nostro supremo e incancellabile disprezzo. L'esperienza ci ha insegnato che con gli eunuchi non si può fare la storia né coronare le rivoluzioni. [...] Perciò, nell'offrire noi stessi alla ricostruzione del Paese ci poniamo nettamente a sinistra; senza riserve mentali, senza pregiudizi inutili, senza bizantinismi ideologici; appunto perché siamo stati fascisti, perché questo fu e sarebbe stato il nostro fascismo.
"Italia - Repubblica - Socializzazione": in questo trinomio si è concluso tragicamente il nostro passato, in esso si sintetizza il nostro credo politico, ad esso noi dedichiamo il nostro avvenire. Fermi su questa posizione noi terremo fino in fondo, senza crisi di coscienza quando verrà (poiché verrà) l'ora del pericolo: come abbiamo già dimostrato essere nostro costume.


 
Alberto Giovannini

"Rosso e Nero", 27.7.1946

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