le radici-memoria
Il nostro passato e il
nostro avvenire
Anche noi siamo stati fascisti: come la massima parte degli italiani. Ma a
differenza dei moltissimi che oggi, dinanzi alla mutata situazione politica,
vogliono dimostrare la loro appartenenza al fascismo come derivato dalla
costrizione, dalla convenienza o dal bisogno, noi fummo fascisti per convinzione
dapprima, rimanemmo fascisti per coerenza poi. [...] In Italia non vi è diritto
di cittadinanza per gli sconfitti; la massa degli italiani che ama i vincitori è
oggi, come purtroppo sarà sempre, con i vincitori. [...]
Mentre la massa, nota od anonima dei fascisti si è venduta -come si era venduta
al fascismo- a nuovi padroni, solo noi dovremmo rimanere al bando della vita
pubblica: irrisi da tutti perché vinti, scacciati da tutti perché
orgogliosamente poveri, tacciati di fessi perché, in ogni tempo e in ogni
circostanza, anche la più tragica e pericolosa, rifiutammo di fare il doppio
gioco e di piegare a basse compromissioni la nostra coscienza.
E pure malgrado ciò, noi sentiamo ancora oggi di non dover nulla rinnegare del
nostro passato: abbiamo, in buona fede, creduto di servire il nostro paese e ce
ne vantiamo; abbiamo combattuto duramente per il nostro paese e ne siamo
orgogliosi; abbiamo difeso fino in fondo l'ideale nel quale credemmo; siamo
stati fino alla fine, se fìsicamente o sentimentalmente, non importa, accanto
all'Uomo che fu l'eroe e il mito della nostra giovinezza e non ne arrossiremo
mai.
Ma se il nostro volto non è, né sarà mai, quello dei «maddaleni pentiti», la
nostra funzione non è come qualcuno potrà pensare, quella del cavallo di Troia
destinato a contrabbandare sul piano democratico un fascismo risorgente. Poiché
se non ci pentiamo del nostro passato, non abbiamo neppure per esso nessun
rimpianto e perciò siamo nettamente contrari ad ogni forma di neofascismo più o
meno larvato. [...] Altri potrà rimpiangere il sistema fascista: i monarchici
superstiti potranno, ad esempio, riandare nostalgicamente ai tempi in cui il
sovrano era universalmente riconosciuto «santità della Patria»; l'industriale
potrà desiderare ancora l'ordine mantenuto dalla dittatura; il militare
rimpiangerà il prestigio che nella dittatura godeva; l'uomo che un tempo si
definiva d'ordine e che oggi si autodefinisce qualunque potrà sospirare, dinanzi
alle convulsioni sociali in atto, al tranquillo ricordo dei tempi andati.
Tutto ciò al nostro spirito non dice nulla e questo ricordo di un passato comodo
ed addormentante, non ha su di noi alcuna presa. Noi, nel fascismo, intendevamo
servire un ideale rivoluzionario, in senso sociale; e se rammarico sopravvive in
noi è soltanto quello di non essere riusciti a raggiungere la mèta prefissaci,
di non aver disvelato al mondo quella nuova realizzazione sociale che,
componendo il conflitto tra oriente e occidente, desse realmente all'Italia, e
per la terza volta, la primogenitura dello spirito, così come vi è in noi
lancinante il dolore per la massa informe di rovine patrie, che sono in parte il
risultato tangibile di quella nostra sognante e generosa follia. [...]
Detto questo è logico che amici e avversari chiedano: «Cosa siete? Cosa volete
rappresentare?»
Siamo gli uomini che per lunghi anni hanno inteso di dare al fascismo, sopra
ogni cosa, volto e contenuto sociali realmente rivoluzionari; siamo i superstiti
di quella, che a torto o a ragione, fu definita la «sinistra del fascismo»; che
vogliono coerentemente legare il loro passato al loro avvenire. Uomini che con
un patrimonio ideale già formato e fino ad oggi compresso, dalla dittatura prima
e dall'antifascismo, poi, vogliono di questo loro passato sceverare il bene dal
male, l'equo dall'iniquo; che vogliono soprattutto alla luce delle loro idee,
talune scaturite da una dura esperienza, tal'altre scarnite da altrettanto dura
realtà, portare il loro contributo alla ricostruzione e al rinnovamento del
Paese: apertamente, chiaramente e lealmente.
Crediamo in una rivoluzione drastica e definitiva, destinata a dare al Paese
nuova fisionomia economica e sociale e sentiamo in noi la certezza e l'orgoglio
di essere fra coloro che, pur tra gli inevitabili errori, hanno sempre
perseguito e preparato tale processo rinnovatore. Crediamo nella Repubblica,
poiché sentiamo che essa soltanto può promuovere e garantire la rivoluzione
sociale. [...] Per questo noi, che fummo fino in fondo fascisti senza doppio
gioco, siamo pronti a stringere la mano ai nemici, agli antifascisti di sempre.
Agli altri, ai pavidi, ai troppo frettolosamente ravveduti, ai transfughi nei
tempi duri e nell'avverso destino, al gregge belante al seguito dei vincitori va
e andrà sempre il nostro supremo e incancellabile disprezzo. L'esperienza ci ha
insegnato che con gli eunuchi non si può fare la storia né coronare le
rivoluzioni. [...] Perciò, nell'offrire noi stessi alla ricostruzione del Paese
ci poniamo nettamente a sinistra; senza riserve mentali, senza pregiudizi
inutili, senza bizantinismi ideologici; appunto perché siamo stati fascisti,
perché questo fu e sarebbe stato il nostro fascismo.
"Italia - Repubblica - Socializzazione": in questo trinomio si è concluso
tragicamente il nostro passato, in esso si sintetizza il nostro credo politico,
ad esso noi dedichiamo il nostro avvenire. Fermi su questa posizione noi terremo
fino in fondo, senza crisi di coscienza quando verrà (poiché verrà) l'ora del
pericolo: come abbiamo già dimostrato essere nostro costume.
Alberto
Giovannini
"Rosso e Nero", 27.7.1946
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